Il calcio femminile non deve fare i passi sbagliati
I dati ci sono, e non ci si può girare più di tanto intorno, per quanto interpretabili. Tra l’altro li fornisce una testata storica come Tuttosport. La partita di calcio femminile giocata fra Milan e Juventus il 5 ottobre scorso è stata vista da 521.000 spettatori unici (vale a dire il numero di persone uniche che vedono un programma in un intervallo di tempo considerato) e 127.000 spettatori medi (il numero di persone medie che seguono un programma, calcolato sulla base delle misurazioni degli spettatori presenti in tutti i momenti dell’esecuzione del programma stesso).
Certamente per un evento di calcio “di nicchia” com’è stato finora quello femminile, non si può dire che siano numeri disprezzabili, tutt’altro. Possono essere passi importanti, questi, per lo sviluppo di un movimento sportivo di grande respiro. Una partita simbolo, quella giocata a San Siro in quella serata di inizio ottobre. Innanzitutto perché finora, per ragioni varie, anche ma non solo economiche, lo svolgimento degli incontri femminili era dirottato su stadi minori.

Un pubblico di nicchia
Bè, del resto se il pallone femminile non ha un grande seguito di pubblico, pare inutile far affrontare le squadre in un’arena enorme, dove le poche migliaia, se non centinaia, di spettatori si perderebbero in un catino enorme, che li sovrasterebbe, facendo rimbalzare gli echi delle grida del “gruppetto” di tifose e tifosi su tutto quel cemento……
E poi ci sono gli sponsor…di certo immagino che un’azienda non sia felice che le pubblicità vengano viste da pochi spettatori allo stadio, ed altrettanto pochi a casa, sulla TV del soggiorno o in streaming.
Così si è sempre ragionato, e devo dire che la logica non fa una grinza, no. Il calcio femminile così viene messo all’angolo, come una manifestazione folcloristica…culturale sì, ma di certo non un elemento su cui impostare un discorso serio, un business.
Degli illogici passi in avanti
Che il discorso economico serva da “foglia di fico” per coprire altri discorsi è ormai storia nota, e pubblicazioni come il libro “Giocare con le tette” hanno analizzato bene il problema.
I passi del calcio femminile sono stati spesso intralciati da un atteggiamento scettico, quando non da aperti pregiudizi.
Nella storia ci sono però dei momenti che sembrano messi lì apposta per cambiare le cose: e questa pandemia, tragica e maledetta, pare essere uno di quei momenti. I campi da calcio prestigiosi per essere calcati devono prevedere un grande seguito di pubblico ? Quindi calcio giocato da donne no ? Siamo però in un momento strano, quasi surreale, in cui anche il calcio maschile, a parte il seguito sulle pay TV varie, è costretto ad avere un seguito quasi nullo, allo stadio.
Quindi cosa ci perdiamo, se facciamo accedere le donne al “tempio” ? Qualcuno potrebbe aver ragionato in questo modo. Insomma, quella parità che la lenta evoluzione degli usi e costumi ancora sta negando, si sta realizzando di fatto a causa di un evento doloroso, che nessuno si augurava, e che sta mettendo alla frusta il mondo intero.
Passi decisivi e rischi di retromarce
Di certo ritengo che il movimento femminile italiano abbia fatto un primo di tanti passi importanti che potrebbero, e dovrebbero, accelerarne l’evoluzione. Un articolo breve ma intenso apparso sull’app “Tutto calcio femminile” il giorno 08 ottobre dichiara apertamente che “il calcio femminile è ormai uscito da una realtà di nicchia”, e credo che sia vero, e non tanto e non solo per la partita di San Siro in quella storica serata, quanto perchè ormai la spinta al cambiamento è troppo forte per essere fermata.
Però sarebbe un errore pensare che tutto sia cambiato. Di certo ci sarà la tendenza da parte di alcuni, una volta che tutto a livello sanitario e sociale sarà tornato ad una certa normalità, a volersi dimenticare dei passi fatti. Lo stesso articolo di TCF conclude dicendo: “vietato fare passi indietro”; ci vorrà un grande impegno per andare avanti a tutta forza.
Foto di copertina di Laurentgraphiste by Pixabay