Un uomo qualunque alla scoperta del calcio femminile
Sono un tizio. Uno qualunque. Uno dei tanti che puoi incontrare per la strada, su un autobus, al supermercato. Uno normale, che ha fatto lavori normali, che ha vissuto la vita come tanti altri.
E nelle vite normali, ci sono giorni, tanti, che se ne vanno via senza lasciare il segno. Ma per fortuna ce ne sono altri che invece sono diversi; ci sono giorni che sembrano nati apposta per farti trovare delle risposte. Sembrano fatti per farti trovare qualche elemento nuovo, qualcosa che non avevi considerato, che ti era sfuggito. E magari in un momento in cui ne hai proprio bisogno.
Una giornata particolare
E’ stato in uno di quei giorni che ho incontrato il calcio femminile. Quel giorno stavo cercando, come spesso faccio, le ultime novità sul calcio maschile, e mi ero sintonizzato sul canale sportivo di una nota pay tv. Ed è stato quindi per caso che ho incontrato quella partita. Sì, posso parlare di un incontro, perchè non è stata una di quelle esperienze, numerosissime, che passano e si dimenticano in pochi istanti.
No, quello è stato davvero un giorno particolare. Mi ero messo davanti allo schermo con una certa curiosità. Non avevo mai visto giocare le donne, mi ricordavo soltanto le notizie che erano passate tanti anni fa sulle reti della tv di stato, quando negli anni novanta del secolo scorso l’Italia era riuscita a creare un movimento calcistico di rilievo; il nome che mi era rimasto in testa era quello di Carolina Morace, e non a caso, visto cosa era stata capace di fare in quegli anni.
La nazionale italiana di calcio femminile aveva dato prova di potersi fare rispettare da chiunque. Avevamo giocatrici di tutto rispetto, all’altezza di chiunque. Poi, più avanti, qualcosa era mancato, e non nei piedi delle giocatrici, ma nella testa di qualcuno. Nella testa, probabilmente, di chi doveva decidere di investire in quel movimento, portandolo definitivamente in cima all’Europa ed al mondo.
Una strana curiosità
Lo ammetto, provavo una maliziosa curiosità nei confronti di quelle ragazze che correvano sul campo, la curiosità di chi, non abituato a mettere in discussione i paradigmi del dio pallone, ritiene scontato che lo spettacolo non sarà un granchè. Non ricordo che partita fosse, non ricordo le squadre di serie A che si affrontavano in quella sfida. E ciò è sintomatico del fatto che non furono le formazioni ad attrarre la mia attenzione; non furono le caratteristiche delle singole giocatrici e nemmeno le giocate in sé.

No, era qualcos’altro che mi attirava, e non saprei neppure definire con esattezza cosa. Non poteva essere la potenza atletica, che resta appannaggio dei maschi per questioni meramente di struttura fisica. E neppure la precisione degli schemi di gioco, perchè i colleghi maschi hanno avuto finora tutto il meglio a livello di insegnamento, e differenza delle fanciulle.
No, era davvero qualcos’altro. Qualcosa che si fa fatica a descrivere. Ciò che mi impediva di cambiare canale era proprio la presenza di quelle ragazze, il loro modo di stare in campo. Non era meglio o peggio, semplicemente era diverso. Non era il calcio chiassoso e faraonico delle massime serie maschili, assomigliava più al calcio maschile di tanti anni fa, fatto di gesti concreti e meno di chiacchere e congetture.
Catturato
Già, era il modo intenso in cui quelle ragazze interpretavano, in un modo tutto loro, il giocare a pallone, che finì per catturarmi; sì il verbo è più che mai adeguato, perchè rimasi “dentro il gioco”…e ancora oggi non ne voglio più uscire.

Non sono un giornalista, non sono un ex-giocatore, non sono un allenatore, e nemmeno un match analist. No, in questo senso, non sono nessuno. Ma mi piace pensare che, al di là di chi di calcio ne capisce perchè ci lavora, vale a dire allenatori, preparatori atletici, giocatori, dirigenti, giornalisti (donne o uomini che siano), che di certo stanno dando un impulso indispensabile affinchè il calcio femminile assuma il ruolo di primo piano che gli compete, saranno tantissime persone qualunque, come me, a dare un contributo decisivo per il suo definitivo decollo.
Una questione d’amore
Sì, perchè al di là dei tecnicismi, al di là degli investimenti economici, al di là degli assetti societari e delle campagne mediatiche, lo sport è una questione d’amore: amore per la bellezza del gesto atletico, amore per i personaggi, amore per le vittorie, amore per i campioni…e perchè no, amore anche per chi si impegna nello sport a tutti i livelli senza diventare per forza un vincitore, ma che dà tutto se stesso…e le persone che amano lo sport, questo lo sentono…
Saranno le persone qualunque, con il loro amore per le donne del calcio a determinarne il futuro successo, la loro consacrazione. Ed io conto di fare la mia parte.
Insomma, io sono uno qualunque. Uno che quel giorno, di fronte al calcio femminile, doveva solo premere un pulsante per cambiare canale. Sono sempre più felice di non averlo fatto.