“They don’t teach this”, il libro di Eniola Aluko

di Marco Tamanti

Claudia Landini recensisce il libro in lingua inglese di Eniola Aluko

Quando Marco mi ha parlato di “They don’t teach this”, il libro di Eniola Aluko che stava leggendo, ha subito catturato la mia attenzione. Mi piacciono le storie di vita, e in particolar modo quelle che contengono l’elemento della mobilità, del funzionare in altre culture e possibilmente qualche bella sfida identitaria.

Di sfide identitarie Eniola ne ha attraversate parecchie. È nata a Lagos, in Nigeria, ma la sua famiglia si è trasferita in Inghilterra quando lei aveva solo un anno. Per tutta la vita si sentirà dunque un’identità mista. Come afferma lei stessa (la traduzione in italiano è mia):

E così cominciò una nuova vita per mamma, Sone e me, una vita che mi avrebbe vista crescere con un piede in due paesi. È stata una crescita che mi ha dato un’identità divisa in due. Non sarei stata né solo inglese, né solo nigeriana. Sarei stata entrambi, sarei stata Anglo-Nigeriana. Era una questione di equilibrio; e mi ci sarebbe voluta tutta la vita per imparare a navigarla (They don’t teach this, pag. 61)


Claudia Landini è una professionista poliedrica che svolge la sua attività prealentemente sul web, dov’è presente in particolare con il suoi siti expatclic.com e claudialandini.it . Da sempre affascinata dal movimento e dal cambiamento, nel lavoro come nella vita (ha vissuto in quattro diversi continenti negli ultimi 31 anni e parla cinque lingue), è coach e trainer interculturale, e svolge da molti anni, mediante il portale expatclic, una costante attività di supporto alle donne, affinchè possano affrontare al meglio tutti gli aspetti dell’esperienza, sempre complessa, di un trasferimento all’estero.

Una narrazione potente

L’incredibile potenza di questo racconto autobiografico, purtroppo non tradotto in italiano, sta proprio in questa dualità identitaria, che costringe Eniola ad adattarsi di volta in volta a situazioni diverse. La sua identità inglese non capisce perché non si può rivelare alla famiglia nigeriana allargata che la ragazzina ha la passione del calcio, e trascorre i pomeriggi dopo la scuola a tirare il pallone insieme ai coetanei del quartiere. Che lo faccia suo fratello Sone, anche lui diventato calciatore famoso, è ammesso e incoraggiato, ma nel suo caso è diverso.

Diverso, del resto, è anche il trattamento che le viene riservato in alcuni momenti della sua brillante carriera calcistica, e solo in ragione della sua identità nigeriana. Su alcuni di questi Eniola si sofferma a lungo, dando a volte l’impressione di usare il racconto come un mezzo per sfogare l’amarezza che certi atteggiamenti le hanno provocato.

Racconta ad esempio come l’allenatore dei portieri, dopo la vittoria dell’Inghilterra sulla Finlandia (partita nella quale l’Aluko aveva peraltro segnato un goal), l’avesse definita “as lazy as fuck” (per essere gentili, lo tradurremo con “pigrissima”). Dietro alle sue spalle, peraltro, perché Eniola si era resa conto della critica guardando la registrazione del match.

Commenti razzisti

Direttamente in faccia le era invece arrivato il commento razzista dell’allora allenatore dell’Inghilterra, Mark Sampson. L’Inghilterra stava per affrontare la Germania, un grosso evento al quale avrebbero assistito anche molti amici e famigliari delle giocatrici. Quando Eniola ha informato l’allenatore del fatto che la sua famiglia sarebbe arrivata dalla Nigeria per la partita, lui le ha risposto di assicurarsi che “non portassero l’Ebola”.

Naturalmente tutti questi fatti non sono passati sotto silenzio. Anzi, a volte si ha l’impressione che il libro sia il supremo gesto chiarificatore di Eniola verso un mondo che dovrebbe promuovere valori di sorellanza, solidarietà, onesta competitività, ed è invece pervaso da razzismo, discriminazione e omertà.

Sì, anche omertà perché la prima investigazione – racconta sempre Eniola – aveva avuto come risultato l’insabbiamento di tutta la vicenda. Altro momento di grande amarezza e frustrazione per la giovane giocatrice, che però non si lascia abbattere.

Eniola Aluko, una donna che combatte

Quella che emerge infatti dal libro di Eniola Aluko è una figura di donna determinata e lucida. Pervasa da una profondissima fede che la sostiene e l’accompagna anche nei momenti più bui, Eniola non si chiude a una sola professione, ma mentre scala la vetta della carriera calcistica, si laurea in legge e comincia a collaborare con grandi nomi di studi legali.

Successo, forza di volontà, discriminazione, fede, e forti legami famigliari sono gli ingredienti della giovane vita di Eniola, che li mischia e affronta sapientemente, con una grinta che magari a volte può risultare un po’ estrema, ma che sicuramente contribuisce a farci vivere, anche solo per la durata della lettura, in una pelle e provenienza diverse da quelle che dominano in moltissimi ambienti, e, tristemente, anche in quello calcistico.

La parte finale del racconto Eniola la dedica al suo periodo italiano, con la Juventus. E’ un capitolo un po’ sbrigativo, nel quale a mio parere non approfondisce a sufficienza i motivi che l’hanno spinta a rescindere il contratto prima della sua scadenza e tornare in Inghilterra. Anche se potrebbero essere sufficienti i pochi episodi di razzismo che narra, per farci capire che per persone “diverse” dalla massa, la ricerca di un ambiente dove la propria pelle smetta di essere un elemento distintivo e marchiante, dev’essere una costante nella vita. Una costante faticosa e ingiusta.

Per fortuna ci sono donne come Eniola Aluko che hanno voce, e questa voce la usano forte e chiara, e lottano per un mondo equo, giusto e dove tutti gli esseri umani possano vivere e lavorare in piena parità – in tutti gli ambienti, compreso quello calcistico.

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